venerdì 5 aprile 2013

Intervista a Kikoko: la pittura e il viaggio



Kouevi-Akoe Ekoe Kokovi, in arte Kikoko.
Nato nel 1978 a Lomè, nel Togo, oggi vive e lavora a Milano. Prima ebanista, scultore e fabbricante di percussioni, diventa pittore dopo aver conosciuto un gruppo di artisti nomadi nel deserto algerino, a Tamarasset. Le sue opere sono state esposte in Francia, in Germania e in molte località italiane (Milano, Lodi, Roma, Ravenna).
Abbiamo avuto la fortuna di conoscere Kikoko e di parlare un po' con lui.
Vi regaliamo le sue parole.



Innanzitutto, ci può raccontare brevemente la sua esperienza personale?

Mi sono ritrovato davanti a una scelta e ho deciso di andare. Ho deciso di partire dal mio Paese, prima di tutto, perchè volevo cercare me stesso. La mia famiglia non aveva problemi economici, ho studiato contabilità, ma sentivo che quella non era la mia strada.
La prima tappa del mio viaggio è stata l'Algeria, Tamarasset (tra Algeria e Niger), un luogo nel deserto in cui ho trovato carovane di artisti che hanno formato lì un piccolo villaggio dove creano e vendono le loro opere. Ho conosciuto così l'arte pittorica. Mi hanno accolto e ospitato per tre, quattro mesi; ho vissuto con loro, ho adottato le loro abitudini, ma per me,all'inizio, non è stato facile perchè venivo da un altro posto, anche da un altro clima. Quando ho finito i soldi, da lì mi sono spostato nel Benin - dove ho allestito la mia prima mostra – per poi tornare in Togo. In Togo, però, non ho trovato un'accoglienza positiva perchè la mia scelta di fare come mestiere l'artista, non era capita. Il livello culturale era molto basso. Mio padre era un collezionista, ma mia madre mi diceva: “Con questo lavoro non si mangia”.

Nel 1992 è arrivato in Francia. Il suo bagaglio artistico e culturale lo ha acquisito in Europa o in Africa?

Un po' qui e un po' in Africa perchè , per un periodo, andavo e tornavo in continuazione. Ogni volta, però, che tornavo indietro dovevo ricominciare dall'inizio, ma ho continuato ad imparare, a studiare. In Africa avevo la mia casa e più tempo a disposizione per cui potevo dedicarmi a quella che ho scelto come la mia professione. Ho imparato tanto soprattutto guardando le altre persone, gli altri artisti. Guardare uno che prende una tela e butta giù il colore: già quella è una partenza. E io ripetevo i gesti, ascoltavo le parole.

Com'è stata la sua prima esperienza in Europa?

La prima volta dovevo rimanere a Marsiglia per un mese, ma ci sono rimasto per sei mesi come irregolare e, quindi, dovevo nascondermi. Se manca il permesso di soggiorno, il migrante non esiste, sa di non esistere ed è capace di tutto: è capace anche di prendere l'identità di un altro perchè non c'è alternativa. Si è costretti a mentire, a perdere tutto, a negare le proprie radici: il nome, i figli, la famiglia d'origine, etc. per poi nascondersi anche dietro a un Paese diverso dal proprio, falso e dietro a una falsa identità.

Che situazione ha trovato quando è arrivato in Italia?

Sono arrivato nel 2006 e sono ancora dentro a una situazione difficile. Chi mi ha conosciuto quando sono arrivato e mi vede oggi può dire: “Questo qua ha fatto un miracolo”. Ancora oggi, qui, sento diffidenza, se non paura dello straniero. Ho fatto realmente fatica ad entrare nella vita reale italiana. Ad esempio, quando sono qui, nel mio studio, le persone che passano guardano dalla vetrina, vedono un uomo di colore e non entrano. Non voglio chiamarlo razzismo, ma ignoranza.

Che tecniche usa per realizzare le sue opere?

Gli artisti che ho incontrato nel deserto algerino erano scappati dai loro Paesi per motivi politici e religiosi perchè, nei loro dipinti, avevano inserito figure umane (o di altri esseri viventi) non accettate dall'iconoclastia.
Comunque, ancora oggi, i loro quadri sono caratterizzati da pennellate lunghe e colori delicati: vengono lasciati ad asciugare al sole e al vento, ma il vento porta la sabbia sulle tele. Il dipinto diventa, così, materico e porta in sé la traccia del luogo in cui è stato realizzato.
Anche per me questa tecnica è diventata fondamentale. Applico sui miei quadri materiali diversi: legno, stoffa, carta. La mia, infatti, è una tecnica mista.

Quali sono i temi ricorrenti nella sua Arte?

Il tema del viaggio è fondamentale. Molti artisti escono dal loro ambito reale, da uno schema predefinito e vanno a indagare con la mente...arrivando anche sulla luna!
Anche a me piace viaggiare, soprattutto metaforicamente. Nei miei quadri ci sono figure reali che diventano simboliche; oppure inserisco proverbi o modi di dire che appartengono alla mia cultura, ma - a seconda dell'interpretazione che ne dà lo spettatore - possono cambiare significato. L'importante è pensare, leggere o scrivere con l'immagine.