di
Santiago Alba Rico (da comune@info.net)
Almeno
ventimila morti in quindici anni. Forse molti di più, a giudicare
dalla crescita esponenziale documentata negli ultimi mesi, ma i
numeri ingannano la percezione: non raccontano le storie, le speranze
e le sofferenze di chi affoga nel Mediterraneo. Forse, a comprendere
la portata e le ragioni della tragedia che viviamo, può aiutare
meglio la storia: l’Europa è abituata a buttare la gente in mare.
Lo ha fatto per secoli durante il commercio di vite che riempiva i
forzieri delle grandi nazioni che oggi danno lezioni di umanità e
democrazia al resto del mondo. Si buttavano a mare gli schiavi per
sfuggire ai pattugliamenti o quando venivano considerati “merce
difettosa”. Cinismo e ipocrisia si sono sempre alimentati a
vicenda. L’ipocrisia,
con le sue leggi sulle migrazioni, nutre i cinici e finirà per
mettere nelle loro mani i governi europei. Ma noi europei come
facciamo a piacerci così tanto?
Davanti
all’ipocrisia e all’indifferenza, ci piace ed è perfino doveroso
essere un po’ demagogici. Diciamoci la verità: l’Europa è
abituata a buttare la gente a mare. Lo ha fatto per secoli, durante
il più che redditizio commercio di schiavi al quale prendevano parte
tutte le grandi nazioni che oggi danno lezioni di umanità e
democrazia al resto del mondo. L’antropologo Fernando Ortiz,
in un suo libro, ne ricordava il numero: nel 1825 si calcolava
che i negrieri clandestini, vuoi per sfuggire ai pattugliamenti, vuoi
per liberarsi di “mercanzia difettosa”, avessero buttato
nell’oceano 3.000 schiavi vivi ogni anno. Molti di più erano
morti durante il trasporto forzato lungo il continente africano o
durante le attese dentro i barconi nei porti. Nel 1818, quando
venne proibito il traffico, ma mantenuta la schiavitù(proprio come
oggi!) il cattolicissimo re spagnolo Ferdinando VII giustificava
quella proibizione dicendo che non c’era bisogno di trasportare in
America gli africani allo scopo di civilizzarli, perché l’impresa
coloniale si sarebbe incaricata di civilizzarli nei loro paesi di
origine. Continuiamo ancora oggi a civilizzarli nei loro paesi
di origine, continuiamo a selezionare mano d’opera a buon mercato,
continuiamo a proibire il traffico e continuiamo a buttarli a mare.
La
grande scrittrice nera Toni Morrison, anni fa, espresse un
giudizio con amarezza e dolore: “Non puoi fare questo per centinaia
di anni e non pagare dazio. (Gli europei) non dovevano disumanizzare
solo gli schiavi, ma anche se stessi.Dovevano ricostruire tutto per
fare sì che il sistema sembrasse vero. Così tutto fu possibile
nella seconda guerra mondiale. Così la prima guerra mondiale si
dimostrò necessaria. Razzismo è la parola che usiamo per
comprendere tutto questo”. Quello che il teologo tedesco Franz
Hinkellammert chiama, a ragione, “genocidio strutturale”, si
inscrive in quella lunga malattia europea che ci ha fatto marcire
l’anima fino al punto di poterli buttare a mare e poi andarcene
allegramente in crociera a Malta.
I
morti, in questa settimana, sono stati più di 1.000, negli ultimi
quindici anni sono stati oltre 20.000. Numeri parziali, ingannevoli e
che non fanno la conta dei cadaveri in fondo al mare. Non voglio
sminuire la responsabilità dei trafficanti che sfruttano la
disperazione degli esseri umani: in fondo è la stessa responsabilitá
dei negrieri del XIX secolo e mantengono con il sistema neocoloniale
europeo lo stesso rapporto di dipendenza e funzionalità. Non ho
nemmeno intenzione di negare le responsabilità di quelli che, ad un
prezzo equivalente a 15 biglietti aerei, affittano un centimetro di
rischio su queste barche di Caronte. Anche l’ultimo degli esseri
umani può decidere del proprio destino; ma anche l’ultimo degli
esseri umani ha diritto a scegliere un destino migliore senza per
questo giocarsi la vita. Di cosa sono colpevoli? Il loro
crimine, come dice Juan Goytisolo, è “il loro istinto per la vita
e l’ansia di libertà”, quell’atomo di libertà che usano
scappando dalla guerra o dalla miseria e rivendicando il diritto di
spostarsi, di lavorare, di esistere, senza chiedere elemosina né
scusarsi.
Abbiamo
sentito le risposte dei nostri governi e dei nostri politici. Ce
ne sono due.Una è ipocrita: si lamentano i morti e si esibisce
contrizione mentre vengono rafforzate Frontex e l’operazione
Triton, ovvero, mentre si moltiplicano i mezzi – come fece
Ferdinando VII – per “civilizzare” gli africani all’origine e
distruggere i barconi dei trafficanti. Sappiamo già cosa questo
significa e quali ne saranno le conseguenze: appoggiare delle
dittature e giustificare degli interventi che provocheranno altre
frustrazioni, altra miseria, altre guerre, altro jihadismo, in un
circuito che si autoalimenta e dal quale traggono beneficio solo i
più potenti, i più ricchi e i più ingiusti.
L’altra
risposta è il cinismo dei partiti e degli intellettuali dell’estrema
destra che alimentano la patologia europea, tramite l’esplicito
disprezzo verso quelle migliaia di persone che -nell’opinione della
Lega Nord- cercherebbero delle “vacanze pagate” in Europa e verso
le quali non dovremmo sentire alcuna pietà nè considerazione.
I
cinici, almeno, non mentono. Perché, bisogna dirlo, cinismo e
ipocrisia fanno parte dello stesso sistema e si alimentano a vicenda.
L’ipocrisia,
con le sue leggi sulle migrazioni, nutre i cinici e finirà per
mettere nelle loro mani i governi europei. Storicamente è stato
sempre così: gli ipocriti, non facendo quello che dicono, finiscono
per cedere il potere ai cinici e ai loro aperti crimini. I
“civilizzati europei” sono stati sempre l’anticamera dei nostri
stessi barbari.
Non
c’è nessuna alternativa all’ipocrisia e al cinismo? E’ molto
facile: o Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo o Dichiarazione di
Guerra. Che ci piaccia o no, continueranno ad arrivare.
E
noi, come facciamo a continuare a piacerci così tanto?
Traduzione
dallo spagnolo a cura di Giovanna Barile