di
Monica Macchi (da La bottega del Barbieri)
La
settimana scorsa a Milano l’Associazione per i Diritti Umani ha
organizzato un incontro sui profughi in fuga dalla Siria, la cui
situazione è stata raccontata attraverso il romanzo «Il silenzio e
il tumulto» (*) di Nihhad Sirees.
Il
titolo è la chiave di lettura del libro: il Tumulto è quello del
potere e della propaganda del
regime
mentre il Silenzio è di vari tipi; può essere il silenzio della
prigione, della tomba, quello che evita i guai, quello che permette
ai suoni melodiosi di arrivare fino a noi ma è anche il silenzio in
cui è ridotto Fathi, uno scrittore-giornalista accusato di essere
“non-patriota” e che nel giorno del 20° anniversario della presa
del potere del Leader cerca di sfuggire al tumulto delle
manifestazioni.
Il
libro è il racconto di questa giornata in cui si intrecciano diverse
storie (uno studente picchiato, un medico che si interroga sul nome
da dare alla perdita di rispetto per la vita umana, alcuni addetti
agli interrogatori…) e diventa un ritratto dei meccanismi del
regime attraverso la paura, la responsabilità e l’Arte. Se la
paura è l’arma predominante, si intreccia strettamente alla
responsabilità individuale (l’autore scrive “siamo
schiavi per colpa nostra”
lanciandosi in una dissertazione sulla differenza tra i Persiani e i
Macedoni nella divinizzazione di Alessandro Magno…) ma soprattutto
dell’intellettuale che si ribella “non
per il gusto di ribellarsi ma perché non gli piace quello che
succede”.
Infatti l’arte diventa «patriottica» che sa manipolare l’umore
nazionale e suscita l’ardore per il Leader: gli slogan vengono
creati da poeti in quanto la poesia, e in particolare il ritmo e
l’allitterazione, impedisce la riflessione e dissolve
l’individualità nella folla. Ma oltre alla ribellione aperta ci
sono altre strategie di resistenza incarnate dalle 3 figure
femminili: Lama, l’amante, Samira, la sorella e Ratiba Khanem, la
madre. La madre rappresenta la scelta dell’indifferenza, del
“lasciar perdere” perché le vicende quotidiane sono prive di
importanza e la compensazione è la cura dell’aspetto esteriore:
pur di assecondare la sua fragile vanità, tradisce gli ideali del
figlio e anche la memoria del padre. L’amante rappresenta il sesso,
un grido contro il silenzio che restituisce l’equilibrio e toglie
le maschere del pudore e della vergogna permettendo di ridere e
scherzare. La sorella rappresenta l’umorismo e l’ironia (si può
ridere del Partito ma non del Leader) ma anche l’auto-ironia e alla
fine del libro dà il consiglio fondamentale per sopravvivere nel
regime: “sii
idiota tra gli idioti e ridine”.
(*)
Pubblicato in Libano nel 2004 e poi tradotto in tedesco, francese,
inglese (ha vinto il Premio
Pen Writing
in
translation
nel 2013) e ora in italiano dalla casa editrice Il Sirente.