Quasi a
sorpresa, ieri, sono stati nominati i Presidenti di Camera e Senato:
Laura Boldrini , ex portavoce dell'Agenzia Onu per i rifiugiati
politici, e Piero Grasso, ex procuratore nazionale antimafia:
riportiamo di seguito i loro discorsi di insediamento. Senza commenti
perchè le loro parole bastano a far sperare un Paese che deve
ritrovare la direzione giusta.
«Vorrei
innanzitutto indirizzare il mio saluto rispettoso al Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano».
«Faccio i miei auguri soprattutto ai più giovani: a chi siede per la prima volta in quest'aula. Sono sicura che insieme riusciremo nell'impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane».
«Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i duiritti degli ultimi in Italia e nel mondo. E' un'esperienza che mi accompagnerà sempre e che metto al servizio di questa Camera».
«Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Abbiamo l'obbligo di fare unabattaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri: dobbiamo garantirli uno a uno. Quest'Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Dovremo farci carico dell'umiliazione delle donne uccise da violenza travestita da amore. Dovremo stare accanto ai detenuti che vicono in condizioni disumane e degradanti. Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di perdere la Cig, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato. Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l'economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce gli effetti della scarsa cura del nostro territorio».
«In Parlamento sono stati scritti dei diritti costruiti fuori da qui e che hanno liberato l'Italia e gli italiani dal fascismo. Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e dei morti per la mafia, che oggi vengono ricordati a Firenze».
«Molto dobbiamo anche al sacrifio di Aldo Moro e della sua scorta. Scrolliamoci di dosso ogni indugio, nel dare piena dignità alla nostra istituzione che sta per riprendere la centralità del suo ruolo».
«Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Il nostro lavoro sarà trasparente, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani».
«Sarò, la presidente di tutti, a partirte da chi non mi ha votato, ruolo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese».
«L'Italia è Paese fondatore dell'Unione europea, dobbiamo lavorare nel solco del cammino tracciato da Altiero Spinelli. Lavoriamo perché l'Europa torni ad essere un grande sogno, un luogo della libertà, della fraternità e della pace. Anche i protagonisti della vita religiosa ci spingono a fare di più, per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente "dalla fine del mondo"».
«Un saluto anche alle istituzioni internazionali e - permettetemi - anche un pensiero per i molti, troppi volti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce».
«La politica deve tornare ad essere una speranza, una passione».
mi
scuserete, ma voglio rivolgere questo mio primo discorso soprattutto
a quei
cittadini
che stanno seguendo i lavori di quest’Aula con speranza e
apprensione per
il
futuro del nostro Paese.
Il
Paese mai come oggi ha bisogno di risposte rapide ed efficaci
all’altezza della
crisi
economica e sociale, ma anche politica, che sta vivendo. Mai come
ora la storia
italiana
si intreccia con quella europea e i destini sono comuni, mai come
oggi il
compito
della politica è quello di restituire ai cittadini la coscienza di
questa sfida.
Quando
ieri sono entrato per la prima volta da Senatore in quest’Aula mi
ha
colpito
l’affresco sul soffitto, che vi invito a guardare. Riporta quattro
parole che
sono
state sempre di grande ispirazione per la mia vita e che spero lo
saranno ogni
giorno
per ciascuno di noi nei lavori che andremo ad affrontare: Giustizia,
Diritto,
Fortezza
e Concordia.
Quella
concordia, e quella pace sociale, di cui il Paese ha ora
disperatamente
bisogno.
Domani
è l’Anniversario dell’Unità d’Italia, quel 17 marzo di 152
anni fa in cui
è
cominciata la nostra Storia come comunità nazionale dopo un lungo e
difficile
cammino
di unificazione. Nei 152 anni della nostra Storia, soprattutto nei
momenti
più
difficili, abbiamo saputo unirci, superare le differenze, affermare
con fermezza
i
nostri valori comuni e trovare insieme un sentiero condiviso. Il
primo pensiero va
sicuramente
alla fase costituente della nostra Repubblica, quando uomini e donne
di
diversa cultura hanno saputo darci quella che è ancora oggi
considerata una delle
Carte
Costituzionali più belle e moderne del mondo.
Lasciatemi
in questo momento ricordare Teresa Mattei, che dell’Assemblea
Costituente
fu la più giovane donna eletta, che per tutta la vita è stata
attiva per
affermare
e difendere i diritti delle donne, troppo spesso calpestati anche
nel nostro
Paese,
e che ci ha lasciato pochi giorni fa.
Siamo
davanti a un passaggio storico straordinario: abbiamo il dovere di
esserne
consapevoli,
il diritto e la responsabilità di indicare un cambiamento possibile
perché
in
gioco è la qualità della democrazia che stiamo vivendo e che
lasceremo in eredità
ai
nostri figli e ai nostri nipoti.
La
crisi è a un punto tale che potremo risalire solo se riusciremo a
trovare il
modo
di volare alto e proporre soluzioni condivise, innovative e,
lasciatemi dire,
sorprendenti
che sappiano affrontare le priorità e allo stesso tempo avviare un
cammino
a lungo termine: dobbiamo davvero iniziare una nuova fase
costituente
che
sappia stupire e stupirci.
Oggi
è il 16 marzo e non posso che ringraziare il Presidente Colombo che
stamattina
ci ha commosso con il ricordo dell’anniversario del rapimento di
Aldo
Moro
e della strage di via Fani che provocò la morte dei 5 agenti di
scorta Raffaele
Iozzino,
Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Al
loro
sacrificio
di servitori dello Stato va il nostro omaggio deferente e commosso.
Oggi
bisogna
ridare dignità e risorse alle Forze dell’Ordine e alla
Magistratura.
Sono
trascorsi 35 anni da quel tragico giorno che non fu solo il dramma
di un
uomo
e di una famiglia, ma dell’intero Paese: in Aldo Moro il
terrorismo brigatista
individuò
il nemico più consapevole di un progetto davvero riformatore,
l’uomo e il
dirigente
politico che aveva compreso il bisogno e le speranze di
rigenerazione che
animavano
dal profondo e tormentavano la società italiana. Come Moro scrisse
in
un
suo saggio giovanile «Forse il destino dell’uomo non è di
realizzare pienamente
la
giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma
è sempre un
grande
destino».
Oggi
inoltre migliaia di giovani a Firenze hanno partecipato
alla“Giornata della
Memoria
e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, e mi è
molto dispiaciuto
non
poter essere con loro come ogni anno. Hanno pronunciato e ascoltato
gli oltre
900
nomi di vittime della criminalità organizzata. Nomi di cittadini,
appartenenti
alle
forze dell’ordine, sindacalisti, politici, amministratori locali,
giornalisti, sacerdoti,
imprenditori,
magistrati, persone innocenti uccise nel pieno della loro vita. Il
loro
impegno,
il loro sacrificio, il loro esempio dovrà essere il nostro faro.
Ho
dedicato la mia vita alla lotta alla mafia in qualità di
magistrato. E devo
dirvi
che dopo essermi dimesso dalla magistratura pensavo di poter essere
utile al
Paese
in forza della mia esperienza professionale nel mondo della
giustizia, ma la
vita
riserva sempre delle sorprese. Oggi interpreto questo mio nuovo e
imprevisto
impegno
con spirito di servizio per contribuire alla soluzione dei problemi
di questo
Paese.
Ho sempre cercato Verità e Giustizia e continuerò a cercarle da
questo
scranno,
auspicando che venga istituita una nuova Commissione d’Inchiesta
su tutte
le
Stragi irrisolte del nostro Paese.
Se
oggi, davanti a voi, dovessi scegliere un momento in cui raccogliere
la storia
della
mia vita professionale precedente non vorrei limitarmi a menzionare
gli amici e
i
colleghi caduti in difesa della democrazia e dello Stato di diritto
che ho conosciuto.
Non
c’è infatti un solo nome e volto che può racchiuderli tutti e
purtroppo, se dovessi
citarli
tutti, la lista sarebbe troppo lunga. Mi viene piuttosto in mente e
nel cuore un
momento
che li abbraccia uno a uno ed è il ricordo della voce e delle parole
di una
giovane
donna. Mi riferisco al dolore straziato di Rosaria Costa, la moglie
dell’agente
Vito
Schifani morto insieme ai colleghi Rocco Dicillo e Antonino Montinaro
nella
strage
di Capaci il 22 maggio 1992 in cui persero la vita i magistrati
Giovanni Falcone
e
Francesca Morvillo.
Non
ho dimenticato le sue parole il giorno dei funerali del marito, quel
microfono
strappato
ai riti e alle convenzioni delle cerimonie:
«chiedo
innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli
uomini
della
mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non
cristiani,
sappiate
che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però
vi dovete
mettere
in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare...Ma loro non
cambiano... [...]
...loro
non vogliono cambiare...Vi chiediamo [...] di operare anche voi per
la pace, la
giustizia,
la speranza e l’amore per tutti»
Giustizia
e cambiamento, questa è la sfida che abbiamo davanti. Ci attende
un
intenso lavoro comune per rispondere, con i fatti, alle attese dei
cittadini che
chiedono
anzitutto più giustizia sociale e più etica, nella consapevolezza
che il lavoro
è
uno dei principali problemi di questo Paese.
Penso
alle risposte che al più presto, ed è già tardi, dovremo dare ai
disoccupati,
ai
cassintegrati, agli esodati, alle imprese e a tutti quei giovani che
vivono una vita a
metà:
hanno prospettive incerte, lavori, chi ce l’ha, poco retribuiti,
quando riescono
a
uscire dalla casa dei genitori vivono in appartamenti che non possono
comprare,
cercando
di costruire una famiglia che non sanno come sostenere.
Penso
all’insostenibile situazione delle carceri nel nostro Paese, che
hanno
bisogno
di interventi prioritari, a una giustizia che oggi va riformata in
modo organico,
agli
immigrati che cercano qui una speranza di futuro, ai diritti in
quanto tali, che non
possono
essere elargiti col ricatto del dovere e che non possono conoscere
limiti,
altrimenti
diventano privilegi.
Penso
alle Istituzioni sul territorio, ai Sindaci dei Comuni che stanno
soffrendo e
faticano
a garantire i servizi essenziali ai loro cittadini. Sappiano che lo
Stato è dalla
loro
parte, e che il nostro impegno sarà di fare il massimo sforzo per
garantire loro
l’ossigeno
di cui hanno bisogno.
Penso
al mondo della Scuola, nelle cui aule ogni giorno si affaccia il
futuro
del
nostro Paese, e agli insegnanti che fra mille difficoltà si
impegnano a formare
cittadini
attivi e responsabili
Penso
alla nostra posizione sullo scenario europeo: siamo tra i Paesi
fondatori dell’Unione e il nostro compito è portare nelle
Istituzioni comunitarie le esigenze e
i
bisogni dei cittadini. L’Europa non è solo moneta ed economia,
deve essere anche
l’incontro
tra popoli e culture.
Penso
a questa politica, alla quale mi sono appena avvicinato, che ha
bisogno
di
essere cambiata e ripensata dal profondo, nei suoi costi, nelle sue
regole, nei suoi
riti,
nelle sue consuetudini, nella sua immagine, rispondendo ai segnali
che i cittadini
ci
hanno mandato e ci mandano in ogni occasione. Sogno che quest’Aula
diventi
una
casa di vetro, e questa scelta possa contagiare tutte le altre
Istituzioni.
Di
quanto radicale e urgente sia il tempo del cambiamento lo dimostra la
scelta
del
nuovo Pontefice, Papa Francesco, i cui primi atti hanno evidenziato
un’attenzione
prioritaria
verso i bisogni reali delle persone.
Voglio
in conclusione rivolgere a nome dell’Assemblea dei senatori e mio
personale
un deferente saluto al Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano,
supremo
garante della Costituzione e dell’unità italiana che con saggezza
e salda
cultura
istituzionale esercita il suo mandato di Capo dello Stato.
Desidero
anche ringraziare il mio predecessore, il senatore Renato Schifani,
per
l’impegno
profuso al servizio di questa assemblea.
Un
omaggio speciale indirizzo ai Presidenti emeriti della Repubblica, ai
senatori
a
vita e a Emilio Colombo che ha presieduto con inesauribile energia la
fase iniziale
di
questa XVII legislatura, lui che ha visto nascere la Repubblica
partecipando ai
lavori
dell’Assemblea Costituente.
Chiudo
ricordando cosa mi disse il Capo dell’ufficio Istruzione del
Tribunale di
Palermo
Antonino Caponnetto, poco prima di entrare nell’aula del maxi
processo
«Fatti
forza, ragazzo, vai avanti a schiena dritta e testa alta e segui
sempre e soltanto
la
voce della tua coscienza».
Sono
certo che in questo momento e in quest’Aula l’avrebbe ripetuto a
ciascuno
di
noi.