Abbiamo rivolto alcune domande a Clelia Bartoli
Quanto
è importante, oggi, monitorare il linguaggio? Le parole, pronunciate
e scritte, confermano stereotipi e pregiudizi?
La
parola, come eminente espressione umana, è impregnata dalle
relazioni di potere. Il linguaggio pone un ordine nel pensiero e
nelle emozioni, censurando, enfatizzando, plasmando ciò che crediamo
e sentiamo. Ciò significa che le frasi offensive, i discorsi
escludenti, gli epiteti pregiudiziali costituiscono una forma di
razzismo. Ma la discriminazione si annida perfino nella grammatica,
nella sintassi, in espressioni comuni apparentemente neutrali. Ad
esempio l’uso del plurale maschile per indicare un gruppo di donne
e uomini, significa che il genere (non solo grammaticale) per
eccellenza è quella maschile. L’usare la parola “nero” e
“scuro” associate a situazioni negative, mentre il “bianco” e
il “candore” alla bontà e all’innocenza, sono tutte
connotazioni del linguaggio cariche di giudizio, che è bene
smascherare e rovesciare. Un percorso di liberazione e affermazione
di un gruppo oppresso passa comunque dal linguaggio, il Black
power l’aveva ben capito, non a caso diffonde slogan come:
“Nero è bello”.
Consiglio
di leggere a questo riguardo il bel libro di Federico Faloppa,
Razzisti a Parole (per tacer dei fatti), edito da Laterza.
Cosa
si intende per “razzismo istituzionale”?
Quando
si usa la parola razzismo ci si riferisce generalmente ad atti,
parole o atteggiamenti discriminatori posti in essere da una persona
contro un individuo o un gruppo. Esiste però un altro tipo di
razzismo ancora più pericoloso perché suoi effetti sono più estesi
ed è meno visibile, ed è il razzismo istituzionale.
Si
tratta della disuguaglianza, della marginalità prodotta da leggi,
regole, burocrazia, prassi amministrative, con o senza l’intenzione.
Ad esempio sono forme di razzismo istituzionale il fatto che un
ragazzo nato o cresciuto in Italia, perché figlio di immigrati, non
possa avere la cittadinanza e dunque abbia meno diritti degli altri
suoi compagni. È una forma grave di razzismo l’istituzione dei
“campi nomadi”, che non hanno nulla a che vedere con la cultura
rom, ma sono un modo per ghettizzare, impoverire e avvilire. Altro
caso è la detenzione amministrativa nei Cie, che si basa sul
principio che un migrante, in quanto tale, può essere privato del
più antico e fondamentale dei diritti: quello della libertà, in
mancanza di una colpa e di un processo. E potrei continuare a lungo
con esempi di razzismo istituzionale.
L'Italia
è un Paese razzista?
Evidentemente
l’Italia è un paese affetto da razzismo istituzionale. Certamente
non è l’unico. Purtroppo il razzismo istituzionale, come quello
interpersonale, è un fenomeno diffuso ad ogni latitudine e
longitudine. La cosa più saggia da fare e, oserei dire, più
patriottica è ammettere questo problema, diagnosticarlo nelle sue
diverse forme e correggerlo. C’è chi l’ha fatto, la Gran
Bretagna ha saputo intraprendere un esteso processo di ripensamento
delle istituzioni in chiave più inclusiva dopo il report MacPherson.
Si
badi, ciò andrebbe fatto non solo per una questione di giustizia e
bontà verso i poveracci, ma perché l’uguaglianza e un certo
benessere sociale sono la condizione per stare bene tutti. Dove le
tensioni sociali sono forti, dove esiste una parte della popolazione
in grave difficoltà, vi sono importanti ripercussioni anche sul
piano della sicurezza e dell’economia dell’intera comunità.
Ci
può raccontare un caso, invece, di “buona pratica”?
Fortunatamente
ci sono anche delle felici esperienze di istituzioni che intendono
essere accoglienti, anche se purtroppo hanno difficoltà a divenire
sistema. Nel mio libro racconto il caso del Comune di Riace. Un
comune montano calabro, svuotato dall’emigrazione, abbandonato e
diroccato che è rifiorito accogliendo i rifugiati. Le case
abbandonate sono state rimesse a posto e divenute alloggi per i
rifugiati, sono stati recuperati i mestieri tradizionali aprendo
botteghe che coniugavano l’abilità dei migranti con quelle degli
abitanti del luogo, la scuola e altri servizi sono stati rimessi in
funzioni grazie al nuovo popolamento. A Riace sono passati centinaia
di migranti e non c’è stato alcun problema di ordine pubblico; il
sindaco Domenico Lucanospiega come a Riace, grazie alla politica
nuova e vecchia dell’accogliere, ci sia bisogno di artigiani,
educatori, mediatori, insegnanti, ben poco di polizia.
Con
il Comune di Palermo abbiamo appena intrapreso un’esperienza di
accoglienza istituzionale complessa, ma che spero dia buoni frutti.
Abbiamo costituito un FoRom, un forum sui rom e soprattutto con i
rom, un cantiere di democrazia partecipata, per elaborare delle
strategia che possano dare dignità e valore a questa parte di
cittadinanza, coinvolgendola attivamente nel processo decisionale e
progettuale.
Può
aiutarci a riflettere sul significato dei concetti di
“contaminazione” e di “democrazia”?
Le
mie prime ricerche le ho svolte sugli intoccabili in India,
cioè su quelle caste che sono considerate così indegne e impure e
il cui contatto risulta altamente contaminante per i membri delle
alte caste. La vita degli intoccabili è terribile: sono
costantemente evitati, umiliati, usati per i mestieri più sgradevoli
e pericolosi, privi del ben che minino diritto.
Si
dovrà però convenire che la paura della contaminazione, l’assillo
di non perdere il proprio status frequentando persone non ritenute
sufficientemente degne, non è una cosa che riguarda solo l’India.
La preoccupazione per la salvaguardia del proprio status impedisce
l’incontro, la scoperta di altre persone, di possibili amici o
addirittura amori. Lo slogan di quest’anno dell’Unar lo dice
bene: se chiudi con il razzismo ti si apre un mondo.
Bisogna
però dire che gli intoccabili non si sono rassegnati, che l’India
non è un continente senza storia e che uno dei più influenti padri
costituenti, Ambedkar, era un leader di origine intoccabile che ha
introdotto nella costituzione indiana l’abolizione
dell’intoccabilità, nonché azioni positive per raggiungere
un’uguaglianza sostanziale di classi, caste e tribù svantaggiate.
La democrazie è quindi quel dispositivo che prevede la
contaminazione, che scardina le differenze di nascita, che crea
legami civici in luogo di quelli di sangue.
Ma
la democrazia è anche altamente cagionevole, va costantemente
accudita, sorvegliata e corretta.
Clelia Bartoli |