Kaha
Mohamed Aden, scrittrice e mediatrice culturale, è nata a Mogadiscio
e, dal 1987, risiede in Italia. Da Pavia, città in cui vive,
ricostruisce la sua storia, partendo dal proprio immaginario in cui
la capitale della Somalia è divisa in cinque vie che corrispondono a
diversi periodi storici. La quarta via, in particolare, è quella che
si riferisce all'attuale guerra civile.
Il documentario, attraverso la vicenda personale della scrittrice, si fa universale nel momento in cui ricorda un pezzo di Storia recente che coinvolge, direttamente, anche l'Italia. Un filo diretto tra Passato e Presente per costruire un ponte, un nuovo Futuro tra Paesi che sono, in fondo, lontani e, allo stesso tempo, vicini.
Il documentario, attraverso la vicenda personale della scrittrice, si fa universale nel momento in cui ricorda un pezzo di Storia recente che coinvolge, direttamente, anche l'Italia. Un filo diretto tra Passato e Presente per costruire un ponte, un nuovo Futuro tra Paesi che sono, in fondo, lontani e, allo stesso tempo, vicini.
Abbiamo
rivolto alcune domande a Kaha Mohamed Aden
Il
documentario inizia con una sua frase in cui dice: " E' molto
difficile per me raccontare Mogadiscio". Perchè?
E’
difficile raccontare una storia il cui contesto è stato spazzato
via.
Per
esempio con questa guerra clanica, fratricida, non è scomparsa
soltanto una città, ma sono cambiati i costumi, i modi di dirimere i
conflitti, il modo di affrontare il sacro: sostanzialmente tutto il
mio mondo di riferimento è stato cancellato, come se non fosse mai
esistito. Inoltre i somali, quelli che non sono stati “rapiti”
dal delirio della guerra dei clan, sono intenti a garantirsi un
minimo di sicurezza e un tetto sulla testa; il mondo non se ne è
nemmeno accorto della tragedia della pulizia clanica e delle sue
conseguenze. Infine i vincitori di questa guerra non sono
interessati a svelare la storia delle nefandezze che hanno compiuto.
E io che non sono contenta di questo stato di cose, e per fortuna non
sono la sola, mi arrabatto a raccontare, con difficoltà sì, come i
somali sono stati capaci nel passato di gestirsi in una convivenza
complessa e dignitosa e quindi possono farlo in futuro.
Interessante
la scelta di raccontare anche attraverso segni grafici: delle linee
tracciate sulla carta. Cosa rappresentano?
Le
linee sono un tentativo di rendere visibile almeno quattro delle
mille dimensioni che abitavano la città di Mogadiscio. Ogni linea è
diversa dalle altre e corrisponde ad un modo di essere, un pensiero,
una via, una visione del mondo di chi ha governato oppure dominato la
città in un determinato periodo. Vorrei sottolineare che le prime
tre vie le sento morbide, porose, una accanto all’altra, in netto
contrasto col pensiero semplice e lineare che ha dominato l’intero
paese questi ultimi 23 anni di guerra clanica.
Non
vorrei essere fraintesa: quando ho lasciato il mio paese eravamo in
pieno regime dittatoriale, corrispondente alla fine della terza via,
e mio padre come oppositore politico era in isolamento nel carcere
speciale di Labatan Girow, per cui lontano da me sostenere che prima
della guerra interna tutto era rose e fiori. Ma, quello che è
successo con la cacciata del dittatore mi ha sorpreso con dolore.
Cosa
significa, per lei, "colonialismo"?
Il
colonialismo per me significa niente di diverso da quello che spero
condiviso da tutti, ossia tutto il male possibile. E’ soggiogare,
massacrare, usurpare una popolazione di tutto quello che ha e
utilizzare la deumanizzazione di questi ultimi per giustificare le
pratiche del dominio.
Qual è
il collegamento tra il colonialismo di ieri e l'attualità?
E
quanto è importante, quindi, la Memoria del passato ?
Il
collegamento tra l’attualità e il colonialismo è una tematica
aperta e complessa dove naturalmente gli studiosi postcoloniali si
stanno tuttora interrogando. I disastri commessi dal colonialismo,
dai danni e benefici economici all’alienazione culturale, si
propagano tuttora sia all’interno dei paesi colonizzati che nei
paesi colonizzatori. A proposito della memoria, quella che
caratterizza il caso Italiano è la quasi totale rimozione e la
difficoltà di misurarsi con la propria storia coloniale, quasi che
non si volesse riconoscere, nemmeno nel passato, che un governo
italiano abbia commesso atti e politiche di sopraffazione.
L’11
agosto del 2012 ad Affile provincia di Roma si è costruito un
mausoleo per il gerarca Graziani e a questo proposito mi piace dirla
con i Wu Ming 2 che hanno scritto un bel articolo su questo tema:
“Quei mattoni dozzinali, la scritta “Patria e Onore” sul
frontone, sembrano voler dire: “Magari ci fosse ancora qualcuno che
può impunemente tirare il gas sugli africani! Quanto ci farebbe
comodo uno così”
Qual
è la "quarta via"?
La
quarta via è la via in cui i capi della USC (United Somali
Congress), l’organizzazione che ha cacciato il dittatore per
conquistare l’intero Stato e distruggere qualunque altra
alternativa, sono riuscite a commutare l’odio nei confronti della
dittatura in un odio verso il clan in cui è nato Siad Barre e dato
il via alla pulizia clanica. I capi di questa organizzazione sono
stati molto abili nel rendere complice la gente comune,
organizzandoli e fomentandoli a commettere assassini contro civili
solo perché appartenenti al clan del dittatore. Non è la prima
volta che vengono massacrati dei civili: Siad Barre, usando
l’aeronautica militare somala, ha bombardato la città di Hargeysa
e massacrato i suoi abitanti che tra l’altro erano quasi tutti
appartenenti ad un solo clan. Ma nel caso della Quarta Via i
massacratori non erano i militari ma il vicino di casa. Questa guerra
clanica che dura da 23 anni ha incastrato noi somali nelle
appartenenze identitarie, famigliari, che a me stanno stretti. La
Quarta Via è anche un modo per segnare che la storia somala non si
blocca qui come piacerebbe ai signori della guerra. C’era un
passato e sopratutto ci sarà un futuro pieno di speranze che il
documentario lo chiama la Quinta Via.
Al
di là della metafora: che Mogadiscio e tutta la Somalia si animi di
mille vie!!!
Amen!
La
Quarta Via un documentario
Tratto
da un omonimo racconto orale di Kaha Mohamed Aden
Scritto
da Kaha Mohamed Aden e Simone Brioni.
La
regia è di Simone Brioni, Graziano Chiscuzzu, Ermanno Guida
Prodotta
da "Redigital e cinquesei"