Trentaquattro anni,
Samer Issawi era stato arrestato nel 2002 per partecipazione alle
attività di un gruppo militare palestinese ed era, poi, stato
rilasciato nel 2011 nell'ambito dello scambio di prigionieri tra
Hamas e Israele (secondo l'accordo di Shalit). Dopo qualche mese,
però, viene di nuovo imprigionato con l'accusa di aver violato i
termini dell'accordo in quanto,forse, sarebbe uscito dai confini di
Gerusalemme.
Issawi
- dal 1 agosto scorso, di fronte al rifiuto da parte delle autorità
israeliane di comunicare, con precisione, i motivi dell'arresto - ha
iniziato uno sciopero della fame e della sete (quest'ultimo
interrotto solo grazie all'intervento della Croce Rossa) che lo ha
portato a pesare, oggi, 47 chili, a dover rimanere seduto su una
sedia a rotelle e ad essere tenuto in vita da una flebo di glucosio e
sali minerali.
Perchè
questa protesta? L'uomo ha deciso di mettere in atto lo sciopero
della fame per denunciare le condizioni di vita dei detenuti
palestinesi nelle carceri israeliane, per ribellarsi alla cosiddetta
“detenzione amministrativa” che lo stesso Rapporteur delle
Nazioni Unite per i diritti umani, Richiard Falk, ha definito
“detenzione disumana”. Il detenuto, infatti (come molti altri) al
momento dell'arresto non ha avuto la possibilità di essere assistito
da un avvocato e, ancora oggi, restano segrete le condizioni alla
base dell'accordo di Shalit e, quindi, né Issawi né il suo attuale
avvocato possono capire in che modo siano state violate.
A tutto
questo si aggiunge che: quando, durante il processo di primo grado,
l'uomo ha cercato di salutare la madre e la sorella, gli agenti lo
hanno colpito al collo, al torace e allo stomaco; le autorità hanno,
inoltre, tagliato il collegamento idrico alle abitazioni dei suoi
parenti e hanno arrestato altri due fratelli.
In rete
si moltiplicano gli appelli per salvare la vita di Issawi e per la
messa in atto di un giusto processo. Si è mossa anche l'Anp: il
presidente, Abu Mazen, ha chiesto alla comunità internazionale di
intervenire e a lui si è aggiunto Mahamoud Abbas che ha scritto una
lettera al segretario generale Ban Ki-moon.