Si
chiama Malala Yousufzai ed è una ragazzina pakistana di 15 anni.
Cinque mesi fa è stata aggredita dai talebani: le hanno sparato alla
testa e al collo riducendola in fin di vita. Il fatto è accaduto
nella valle di Swat, l'area tribale in cui Malala è nata. Perchè
questa violenza? Perchè la ragazza promuoveva il diritto
all'istruzione per le bambine. Alla fine del 2008 Malala viene
incaricata di scrivere un blog per la BBC Urdu per raccontare
l'impatto della dominazione talebana sulla vita quotidiana dei
giovani del suo villaggio. Sotto lo pseudonimo di Gul Makai, la
ragazzina scrive per dieci settimane e, tra le tante sue
considerazioni, si può leggere: “Guardo la mia uniforme
scolastica, lo zaino per i libri, l'astuccio e mi rattristo. Solo i
maschi tornano a scuola domani”; “Mio fratello non ha fatto i
compiti e teme di venire punito se va a scuola. La mamma dice che
domani ci sarà il coprifuoco e lui si mette a ballare per la gioia”;
“Mio padre ci ha detto che il governo proteggerà le scuole, ma la
polizia non si vede da nessuna parte. Ogni giorno sentiamo notizie di
soldati uccisi e tanti altri rapiti”. Malala è stata curata prima
in Pakistan e poi in Gran Bretagna,a Birmingham dove è tuttora
convalescente.
Durante
la scorsa edizione del Film Festival Umanitario Internazionale, che
si è tenuta a gennaio presso la Casa del cinema di Roma, a Malala
Yousufzai è stata consegnata una borsa di studio che le permetterà
di completare la sua formazione, oltre al conferimento della
cittadinanza onoraria della città.
Il
programma della manifestazione ha visto la realizzazione dell'evento
speciale intitolato “Tutte a scuola”, un evento sostenuto dalla
Commissione delle elette del Comune di Roma e organizzato da SENZA
FRONTIERE/withoutborders:
un momento di riflessione sul ruolo dell'educazione scolastica
obbligatoria e della cultura all'interno di una nazione. Per
l'occasione è stato proiettato il film Buddha
collapsed out of Shame di
Hana Makhmalbaf, vincitore dell'Orso d'Argento al Festival di Berlino
2007: si narra la storia di Bakthay, un'altra bambina che vive in
una località montuosa ad est di Kabul. Vuole andare a scuola, ma le
è difficile acquistare quaderni e matite e, soprattutto, sfidare il
mondo degli adulti e dei suoi coetanei che giocano alla guerra e alla
lapidazione. Cerca di perseguire il suo intento con determinazione e
non ci sta ad essere apostrofata “piccolo insetto”, ma nel finale
dice: “Bisogna morire per essere liberi”, lasciandosi cadere su
un letto di fieno sotto i colpi di mitra-giocattolo imbracciati da
altri bambini come lei. Il film ha stimolato un dibattito durante il
quale la giornalista del Tg3 Lucia Goracci ha sostenuto che: “La
battaglia per l'istruzione è quella che influenzerà anche l'esito
delle Primavere arabe”. Comunque, in Iran - come in Pakistan e in
Afghanistan - le fasce della popolazione più ignoranti ed affamate
sono maggiormente preda dei Mullah; a questo si aggiungono lo
sbarramento in accesso nelle università per le ragazze, il peso del
cambio tra la moneta locale e il dollaro (a seguito, ad esempio, alle
sanzioni comminate all'Iran) e, infine, l'impossibilità, per il ceto
medio, di andare a studiare all'estero a causa del costo troppo
elevato del viaggio.
Ma
chiudiamo ancora con le parole di Malala, postate su Facebook poco
prima di essere aggredita: “Anche se verranno a uccidermi dirò
loro che sbagliano. L'istruzione è un nostro diritto fondamentale”.