Si può
discutere sulle modalità di dissentire o di protestare, ma non del
diritto di farlo.
Inna
Shevchenko, Oksana Shachko, Anna Hutsol sono le cofondatrici dell'Ong
femminista Femen,
fondata nel 2008 in Ucraina e che oggi vede attiviste anche in
Italia, Germania, Olanda, Francia, Brasile, Stati Uniti e Canada. Le
donne, giovani e meno giovani, organizzano dei blitz, si mostrano a
seno nudo e con scritte rosse sul corpo e gridano slogan.
Il loro
nome - “femen”, appunto - significa, in latino, “coscia” e
proprio il corpo è la loro unica arma per combattere la
mercificazione e la denigrazione della donna in tutte le società, il
turismo sessuale e ogni forma di sessismo.
La
protesta delle Femen
è arrivata anche in Tunisia. Ma per poco.
Perchè
l'attivista che voleva lanciare il movimento anche nel Paese
nordafricano, Amina, è stata raggiunta da una fatwa,
ovvero
è stata minacciata di morte.
19
anni, studentessa liceale, Amina aveva pubblicato sulla propria
pagina Facebook alcune sue fotografie a seno scoperto con le
scritte, in arabo e in inglese, “ Il mio corpo mi appartiene e non
è di nessuno” mentre fuma una sigaretta, oppure “Fanculo la tua
moralità”. La pagina del social-network ha raccolto 3700 amici, ma
anche tantissimi insulti. Anche la sua famiglia non ha accettato
l'atto di rivolta della ragazza, atto che in Tunisia è passibile,
dal punto di vista penale, di una condanna a sei mesi di reclusione
per l'accusa di “offesa al pudore”. Ma non è finita qui.
Da
martedì scorso non si hanno più notizie di Amina: il cellulare è
spento e risultano disattivati i suoi profili Facebook e Skype. La
situazione è preoccupante se si considera che la ragazza è stata
minacciata da un gruppo di salafiti i quali - tramite una
dichiarazione ufficiale del predicatore integralista Adel Almi -
hanno richiesto, per lei, la quarantena, la fustigazione e,infine, la
lapidazione.