Da poco
uscito nelle sale cinematografiche italiane (recuperabile nelle
rassegne, su Internet e in dvd) , Buon
anno Sarajevo –
Djeca-Children of
Sarajevo,
questo il titolo originale -
è
l'opera seconda della regista bosniaca Aida Begić
che, per questo film, ha ricevuto una menzione speciale nella sezione
“Un certain regard” all'ultimo festival di Cannes.
Un'opera
molto diversa dalla precedente, Neve
in italiano, ambientata nella periferia -cupa e fredda - della
città in cui vivono due fratelli, Rahima, 23 anni e Nedim, 14. Il
ricordo della madre uccisa da un cecchino durante la guerra è ancora
molto vivo negli occhi e nell'anima dei due ragazzi: ma, mentre
Rahima ha trovato conforto (forse) nella religione islamica e
nell'indossare il velo a protezione delle sue ferite, il fratello
minore subisce la discriminazione per essere orfano in una società
che non è ancora riuscita a trovare se stessa.
Un
giorno Nedim danneggia l'I-phone di un compagno di scuola che è
anche il figlio di un ministro e la scuola ingiunge a Rahima di
rifondere il danno. Non riuscendo a trovare i soldi necessari, la
ragazza danneggia l'auto del ministro in un parcheggio e da qui in
poi i due protagonisti conosceranno, sempre più da vicino, la
protervia e la corruzione dei ricchi e dei forti.
Rahima,
da sempre coraggiosa nel far valere i propri diritti e nel proteggere
il fratello, scoprirà anche alcuni lati della vita di Nedim che non
conosceva e questo porta lo spettatore a intravedere nella
quotidianità, nelle scelte e nei comportamenti di molti le tracce di una
guerra che, a distanza di vent'anni, non è ancora finita; i segni di
una mentalità criminale e di un malcostume che si è, ormai,
infiltrato negli individui ...Ma il film lascia un piccolo spazio
alla speranza di un miglioramento.
Ma
non solo Cinema. Anche il Teatro vuole essere strumento di Memoria e
di analisi. In tour, in Italia, lo spettacolo Balkan Burger
– E' la storia di Razna che visse più volte,
di Stefano Massini, un monologo affidato alla voce e
all'interpretazione di Luisa Cattaneo, con il commento musicale dal
vivo di Enrico Fink, sul palco con l'attrice.
Una
molteplicità di voci che si intrecciano e di lingue (a partire dal
titolo). Sì, perchè Razna è, in realtà, Roze figlia di un rabbino
che imparerà litanie ortodosse, frequenterà un Pope, reciterà
preghiere cattoliche e si confronterà con un imam.
Contaminazioni
di generi – si ride e si piange durante lo spettacolo – e
contaminazioni di religioni e di alfabeti al ritmo di una ballata
kletzmer per un personaggio simbolico che cambia e che cerca la
propria identità, in una Ex Jugoslavia ancora in cerca di
equilibrio.
“ Balkan
Burger è un magnifico pezzo di narrazione. E' una storia di morti e
resurrezioni che si reitano nella vita di una singolare bambina
segnata da un destino di paradossale santità, malgrado sé, il tutto
raccontato con uno stile narrativo magistrale, tenuto su un registro
ironico che mi sembra abbeverarsi allo humor della migliore
letteratura yiddish e russa. ...Balkan Burger può essere letto come
una parabola che denuncia la cieca ottusità del fanatismo travestito
da religione...”
(Moni
Ovadia, introduzione a Balkan Burge in “Quattro storie” di
Stefano Massini, ed. Titvillus)