martedì 29 gennaio 2013

L'Egitto si infiamma ancora


Era una sera di febbraio, di un anno fa, a Port Said, sulla costa del Mediterraneo.
Una sfida di campionato di calcio si è trasformata in una tragedia. Due squadre in campo: Al Ahly, i cui ultras sono considerati tra le menti della rivoluzione che portò alla cacciata di Mubarak e Al Masri, i cui tifosi sono fedeli, invece, al regime del raìs.
Ufficialmente si era parlato di “scontri tra tifoserie rivali” , invece si è trattato di una resa dei conti a sfondo politico, di una spedizione punitiva – con mazze e coltelli – che ha visto come vittime i tifosi dell'Al Ahly, con il risultato (purtroppo non calcistico) di 74 morti e centinaia di feriti.
Nel frattempo si è giocata la Champions africana e l' Al Ahly ha vinto contro l'Esperance di Tunisi, ma si è trattato di un amaro successo dato che la squadra non ha potuto disputare nemmeno una partita, sostenuta dai suoi tifosi, a Il Cairo.
Ieri, 26 gennaio 2013, è stata emessa la sentenza nel processo per quel massacro: la corte ha chiesto la condanna a morte per 21 dei 74 imputati. Per legge le condanne dovranno essere confermate dal Gran Muftì d'Egitto; la sentenza per gli altri imputati – tra cui nove poliziotti e tre manager della squadra avversaria – sarà pronunciata il 9 marzo.
Centinaia di ultras e tifosi dell' Al Ahly hanno festeggiato la sentenza nei pressi della sede del club: il padre di un ragazzo di 17 anni morto nell'attacco allo stadio ha detto: “Ora voglio vedere quegli uomini morire davanti ai miei occhi, come loro hanno visto l'omicidio di mio figlio” e un altro tifoso ha aggiunto: “La nostra situazione a Port said è molto grave perchè i bambini vengono presi dalle loro case e sono costretti a indossare le magliette verdi”, facendo riferimento alle divise della squadra dell' Al-Masry.
Molti attivisti ed osservatori sono convinti che l'attacco di un anno fa sia stato premeditato. Alla lettura della sentenza, i parenti delle vittime hanno esulato al grido di “Viva la giustizia!” e “Allah akhbar”, ma in città regna il caos. Negozi e uffici sono stati chiusi, nelle strade sono stati dati alle fiamme copertoni di auto; nei pressi del Ministero dell'Interno centinaia di supporters dell'Ahly hanno chiesto che vengano giudicati anche i poliziotti che, all'epoca, secondo loro, non hanno agito per fermare la tragedia . E la Polizia ha risposto con lancio di lacrimogeni e proiettili veri. L'esercito è schierato in tutta la città per contenere la violenza.
Mentre il presidente, Mohamed Morsi, ha cancellato un viaggio in Etiopia: avrebbe dovuto recarsi ad Addis Abeba per partecipare al summit dell'Unione Africana; ieri, invece, ha dichiarato ieri lo stato d'emergenza nelle città di Port Said, Suez e Ismalia dopo giorni di proteste violente e scontri che hanno fatto almeno 33 vittime.