Le storie sono quella di Samir,
lavapiatti egiziano che si sente come un rifiuto umano e dice: “Siamo
gettati nel mare sulle coste e veniamo lasciati in attesa di essere
smaltiti altrove”; oppure quella di Anita - una ragazza madre,
orfana perchè ha perso i genitori in un incidente stradale – che,
al contrario di Samir, si sente protetta proprio in quella Via Padova
che tutti indicano come il ghetto pericoloso della città meneghina.
Anita sostiene che qui è “tutto una ex-industria”, il centro
commerciale, come la chiesa evangelica: in effetti, la lunga via non
è “bella” o elegante, ma è un tripudio di casermoni e di
insegne di negozi in tutte le lingue, ma lei (e la sua creatura) si
trovano bene, hanno trovato un posto pieno di varia umanità e quella
moltitudine di facce, di colori, di odori, per loro è “casa”. E
poi ancora, la storia di Tony che – nella zona altrettanto
periferica di Corvetto – fa il ragazzo di strada ed è convinto che
non ci sia una gran differenza tra gli immigrati dall'estero della
Milano di oggi e i migranti dal meridione della città di ieri. E
Stefania che, abbandonata dal marito, dipinge i cinesi di Via Paolo
Sarpi, la chinatown colorata e chiassosa nonostante i volti
impassibili dei suoi nuovi abitanti.Ma, oltre a queste storie, si racconta anche di Pietro, Lejla, Gioia...
Gabriella Kuruvilla mescola parole e
immagini (le fotografie all'interno del testo sono di Silvia
Azzari), slang e dialetti, per restituire al lettore un quadro
sensoriale, una mappa originale e, forse, poco conosciuta a fondo, di
una città, Milano, in continua trasformazione, dove la ricchezza è
data anche e soprattutto dalla presenza, dalle idee, dalle proposte e
anche dalle lamentele, dalle richieste e dalle speranze di chi l'ha
scelta come nuovo approdo.