giovedì 24 gennaio 2013

La rivoluzione egiziana non è (solo) un blog di Internet



La storia si fa nelle strade, non su Internet”
Wahel Ghonim,
(creatore della pagina Facebook “Siamo tutti Khaled Said,”
nominato da Time, “persona più influente del 2011”)

Una delle chiavi interpretative dei 18 giorni di Tahrir è stata la “rivoluzione via Internet”. In effetti Internet ha creato spazi virtuali di incontro in cui l’anonimato ha rafforzato il senso di protezione e ha permesso il superamento della paura, fino a quel momento categoria chiave.
Dal canto suo il regime abituato ad esercitare una ferrea censura sulla sceneggiatura di film e pièces teatrali e un controllo pervasivo sui media non ha capito i meccanismi e le possibilità di circolazione della parola e di connessione in una rete. Celebre la definizione sprezzante di Gamal Mubarak sugli internauti come “amebe bloccate davanti al loro schermo che non sarebbero mai usciti dalle stanze in cui erano rintanati”. Internet è stato così semplicemente ignorato fino a quando Ibrahim al-Masry ha postato l’intervento “la mia arma è la mia macchina fotografica” pubblicando, dopo gli scontri seguiti alla bomba fuori la chiesa Al Qiddisayn ad Alessandria, un video di un soldato che colpisce un manifestante inerme e sanguinante sopra le dichiarazioni del ministero degli Interni che negava vi fossero scontri e feriti. Ma gli stessi blogger riconoscono che tutto questo non basta: sulla pagina “Siamo tutti Khaled Said” sono numerosissimi i post che identificano il 25 gennaio come il giorno in cui organizzarsi e alzare la voce nel mondo reale in mezzo agli egiziani; per questo viene chiesto di fare un passaparola tramite gli sms perché “non è possibile raggiungere la classe operaia egiziana via internet o Facebook. Tutti sottolineano dunque come il vero punto di svolta sia scendere nelle strade per rivendicare i diritti: lo stesso Ghonim dichiara “l’energia si è trasferita dal mondo virtuale a quello reale il motore della presa di coscienza e il fulcro di tutte le decisioni è diventata piazza Tahrir e la rete d’ora in poi servirà solo a commentare”

Il regime ancora una volta si affida alla vecchia strategia di cooptazione dei media di regime ormai logora e questa volta i risultati sono tragicomici: il 15 gennaio, giorno della fuga di Ben Ali dalla Tunisia (e mentre gli egiziani iniziano a cantare “O’balna O’balna” “Speriamo di essere i prossimi”) uno dei maggiori quotidiani titolava “Crescita vertiginosa dell’Egitto! Mubarak porta il Paese ai livelli più alti mai conseguiti in materia di sicurezza economica”; il 25 gennaio, i canali televisivi egiziani dedicano l’intera giornata alla celebrazione del giornata della polizia alternandola a video musicali; ed il 9 febbraio Suleiman ordina ai manifestanti: “andate a lavorare, smettetela di spaventare i turisti tornate alle vostre vite, salvate l’economia del paese” parlando di una congiura di non meglio specificate “forze occulte manipolatrici”.


Proprio per questo ruolo e per il fatto che anche al Cairo, ma soprattutto nel resto dell’Egitto pochi hanno accesso a Internet si sono sviluppati movimenti come i kaddabun e i mosireen http://www.indiegogo.com/Mosireen che sostengono il citizen journalism e montano piccoli cinema all’aperto per mostrare video che ancor oggi la tv di stato non mostra. Questi due movimenti sono nati in seguito al brutale pestaggio di una ragazza che rimane seminuda sul selciato della piazza da parte dell’esercito:

(Avvertenza: il video è un po' forte)


 
 
Questo video ha fatto il giro della rete con una dedica in arabo 

الى المغيبين اللذين يعتقدون ان الجيش و الشعب ايد واحده ....
 هل هؤلاء هم خير جنود الارض ؟!؟

Per chi non c’era e crede che l’esercito e il popolo siano una mano sola
Sarebbe questo l’esercito migliore della terra?!?” 

Questo video è stato importante anche perché ha squarciato il velo sulla “politica strategica” che vi era dietro le molestie a Tahrir: servivano a spaventare le donne e tenerle in casa e nello stesso tempo a screditare i rivoluzionari facendo il gioco di Mubarak “O io o il caos”. In questo senso si può leggere l’affermazione di El Hamalawy uno dei blogger più influenti, secondo cui “la rivoluzione non sarà twitterata”: la rete è stata e continua ad essere il supporto della piazza; supporto non sostituto.
Un progetto questo interessante da seguire anche perché è uno specchio dei problemi degli egiziani e sta cambiando forma: non solo le bugie dei militari, ma anche i diritti umani, la crisi economica, l’istruzione … aspetti che toccano la vita di tutti i giorni e che sono quelli che interessano davvero agli egiziani…ma spesso fuori dall’agenda politica come dimostra questa vignetta:



Macchi Monica
curatrice sezione Tahrir Square