A proposito di libertà, giustizia, uguaglianza: mentre negli Stati Uniti il Presidente giura sul testo sacro appartenuto ad Abramo Lincoln, in Italia esce, il 24 gennaio nelle sale cinematografiche, il film di Steven Spielberg, intitolato proprio e semplicemente Lincoln. Sì, perchè Lincoln non è solo il sedicesimo Presidente americano, ma è un simbolo.
Nel film uno dei temi principali è la centralità della politica nel garantire (o provare a farlo) la dignità ai cittadini, a tutti i cittadini e non manca, ovviamente, la riflessione sul razzismo e sulla schiavitù (argomento ripreso anche da Quentin Tarantino nel suo Django Unchained, di cui si parlerà in un prossimo articolo). Parlare del Passato serve sempre a capire il Presente e a preparare il Futuro, si spera sulle giuste basi.
In Lincoln si racconta del travagliato percorso - fatto anche di contraddizioni e di compromessi - che portò all'approvazione del XIII Emendamento e alla fine della schiavitù. Ma, oltre a queste tematiche, c'è molto di più e il racconto si fa quantomai attuale.
In Occidente - negli Stati Uniti come in Europa - si assiste ad un progressivo svilimento della politica, ma Spielberg ricorda che "fare politica" significa prendersi cura della "polis", della vita individuale e associata, di ciascuno di noi e anche del bene comune. E non è poco di questi tempi.
Attraverso lo sguardo fermo di Daniel Day-Lewis entriamo nel mondo labirintico del Potere, delle sue maglie e dei suoi intrighi che vanno a scontrarsi con gli ideali e con i valori da condividere. Ma è proprio questa la sfida della politica. Una sfida messa in scena da Lincoln (l'attore citato) e dal senatore radicale Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones), anche se i due protagonisti non sono così contrapposti, ma si propongono come individui che devono fare i conti con i propri dubbi, con le proprie opinioni, con la propria coscienza.
La bravura dell'autore sta nel rendere vivida questa storia - anche attraverso la regia e la fotografia delle inquadrature - e di riportarla ai giorni nostri, in cui si rende necessario un approfondimento sul senso dell'agire in nome del benessere di tutti, sul senso di responsabilità, sul significato di una democrazia rappresentativa e su quello della parola "dignità".
Nel film uno dei temi principali è la centralità della politica nel garantire (o provare a farlo) la dignità ai cittadini, a tutti i cittadini e non manca, ovviamente, la riflessione sul razzismo e sulla schiavitù (argomento ripreso anche da Quentin Tarantino nel suo Django Unchained, di cui si parlerà in un prossimo articolo). Parlare del Passato serve sempre a capire il Presente e a preparare il Futuro, si spera sulle giuste basi.
In Lincoln si racconta del travagliato percorso - fatto anche di contraddizioni e di compromessi - che portò all'approvazione del XIII Emendamento e alla fine della schiavitù. Ma, oltre a queste tematiche, c'è molto di più e il racconto si fa quantomai attuale.
In Occidente - negli Stati Uniti come in Europa - si assiste ad un progressivo svilimento della politica, ma Spielberg ricorda che "fare politica" significa prendersi cura della "polis", della vita individuale e associata, di ciascuno di noi e anche del bene comune. E non è poco di questi tempi.
Attraverso lo sguardo fermo di Daniel Day-Lewis entriamo nel mondo labirintico del Potere, delle sue maglie e dei suoi intrighi che vanno a scontrarsi con gli ideali e con i valori da condividere. Ma è proprio questa la sfida della politica. Una sfida messa in scena da Lincoln (l'attore citato) e dal senatore radicale Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones), anche se i due protagonisti non sono così contrapposti, ma si propongono come individui che devono fare i conti con i propri dubbi, con le proprie opinioni, con la propria coscienza.
La bravura dell'autore sta nel rendere vivida questa storia - anche attraverso la regia e la fotografia delle inquadrature - e di riportarla ai giorni nostri, in cui si rende necessario un approfondimento sul senso dell'agire in nome del benessere di tutti, sul senso di responsabilità, sul significato di una democrazia rappresentativa e su quello della parola "dignità".